Zuppa di lenticchie rosse per scaldare pancia e cuore!


Monsieur Hiver ha spalancato le braccia e ora siamo tutti avvolti in questo gelido abbraccio: rispuntano goffi piumini, i cappotti si riempiono di maglioni e gilet imbottiti, le sciarpe e i cappelli non si contano e io… io hai voglia a tenere i riscaldamenti accesi da mane a sera con la bossa nova brasiliana a tentar di scaldare l’atmosfera!

Qua l’unica cosa che funziona è la cioccolata calda, una fetta di ciambellone appena sfornato, un piatto di pasta e patate come quello che abbiamo cucinato ieri sera al corso di Cuochi ai Primi Fuochi oppure, come faceva babcia Kazia, la mia nonnina polacca, pane e burro come seconda colazione, spuntino e dopocena. Perché col freddo si deve mangiare! E spiegateglielo a una nonna che ha fatto la Seconda Guerra Mondiale in Polonia che voi siete a dieta… blasfemia impronunciabile!

Solo che se avessi continuato per quella strada, mantenendo queste “sane abitudini”, la mia bilancia si sarebbe incrinata! Per fortuna, imparando a cucinare e a capirne un po’ di rudimenti nutrizionali, ho realizzato che anche -anzi, soprattutto!- una zuppa di legumi sa essere il perfetto comfort food per queste insopportabili giornate fredde, umide e grigissime! E allora via di pasta e fagioli, vellutata di piselli secchi o, come nel caso di oggi, lenticchie decorticate rosse (che si cuociono, peraltro, in un tempo stupido di tipo 10/15 minuti!).

Come si preparano? Ecco la ricetta, è semplicissima!

Per 2 persone

400 g di lenticchie decorticate

1 gambo di sedano

1 cipolla

1 carota

sale e pepe

olio extravergine di oliva

Prendete una ciotola, versate le lenticchie e sciacquatele tante volte sotto acqua corrente finché l’acqua che rimarrà non sarà trasparente (io l’avrò fatta almeno 12 volte… poi mi sono arresa alla zozzeria delle lenticchie ma magari voi avete più pazienza di me!).

Adesso potete metterle in un pentolino dotato di coperchio, versare l’acqua fino a coprirle per oltre un dito e aggiungere la carota pelata, il sedano e la cipolla, il sale, il pepe e un filo di olio. Lasciate cuocere per una decina di minuti abbondante (voi comunque assaggiate sempre prima di terminare la cottura di un piatto!) e servitele con olio extravergine di oliva abbondante – nella foto si vede quanto luccica il piatto, vero?

 

 

 

L’idea per il brunch? Scones made U.S.A.!


Le previsioni del tempo dicono che da questo week end le temperature crolleranno vertiginosamente ma non c’era bisogno del sig. Bernacca di turno: bastava il naso umidiccio della mia cara amica Marta, venuta a cercare un po’ di ristoro da quel grigiore parigino a cui è ormai da anni abituata, per capire che anche qua a freddo, siamo messi proprio bene!

E’ però iniziato il week end, quindi, chissene! Accendiamo i camini, alziamo i termosifoni, rispolveriamo le coperte (e quelle che ci avanzano portiamole alle raccolta per i senzatetto) e crogioliamoci nel tepore di casa, organizzando, perché no, un maestoso brunch con i nostri amici!

Io sto selezionando alcune deliziose ricettine per la mia amica Marta, per l’appunto, che ripartendo domenica, avrà bisogno di una super dose di affetto culinario. E chi, più di me, poteva essere adatta a questa missione?

Spulciando spulciando, ho deciso che sicuramente le uova strapazzate saranno nel menu. Preparerò poi una vitaminosissima spremuta di pompelmo rosa, adagerò del salmone affumicato su uno dei nuovi piatti Royal Copenhagen che mi ha regalato, arrotolerò dei fiocchetti di burro salato con ciuffetti di aneto e sfornerò appena sveglia dei caldi e fragranti scones, come quelli che ho imparato a cucinare a San Francisco (credo di essere ingrassata di 2 kg in quel solo corso!).

Voi le uova, in qualche maniera, le sapete cucinare, il salmone lo sapete comprare, il burro salato lo sapete trovare… ipotizzo che quello che non sappiate fare è preparare gli scones. Per cui, ecco la mia ricetta americana provata e consolidata qua in Italia. Il risultato, ottimo, è garantito!

per una decina di scones vi serviranno:

125 g di farina 0

115 g di farina 00

15 g di bicarbonato

7 g di sale kosher

240 g di burro freddo

200 ml di latte intero freddo

Come fare

Preriscaldate il forno a 200 °C. Versate gli ingredienti secchi in una ciotola e mescolate velocemente. Aggiungete il burro freddo freddo tagliato a pezzi e con l’aiuto di una frusta per dolci (in Usa si chiama pastry blender… magari date un’occhiata alle immagini sul web per capire esattamente di cosa sto parlando!) amalgamate grossolanamente il burro con la farina finché non si sarà creato una sorta di composto sabbioso.

Versate adesso il latte e con l’aiuto di una forchetta mescolate il tutto senza però creare un composto troppo omogeneo (deve essere quanto più disomogeneo possibile, incredibile a dirsi!).

Con una leccarda raccogliete il composto e disponetelo su un piano infarinato. Lavoratelo il minimo indispensabile con le mani per dargli una forma dell’altezza che preferite (sappiate che si gonfieranno, un po’ effetto pasta sfoglia) e utilizzate il coppapasta infarinato per creare dei tondi che andrete a disporre su una teglia rivestita con carta forno.

Cuocete a 200 °C per 10-15 minuti o finché non si saranno leggermente dorati e servite immediatamente.

Io li taglierò a metà e aggiungerò un po’ altro fiocchetto di burro salato e una fettina di salmone affumicato. Una spruzzata di limone di Amalfi e un ciuffetto di aneto per rendere tutto perfetto e buon appetito!

Domenica, odi et amo


Domenica, odi et amo.

Non so più quante domeniche infinitamente belle ho trascorso. Nè voglio ricordarmi il numero di quelle infinitamente brutte. Ma so che ogni volta è stata una sfida con me stessa, prima tra le lenzuola, poi davanti allo specchio e infine con il cappello in testa davanti alla porta: farcela o no? E come diceva sempre la nonna, non è che hai altra scelta: bisogna farcela.

Oggi è una di quelle domeniche. E come sempre, non credo di avere altra scelta.

E allora in qualche modo so che la soluzione al mio malessere sarà mettermi ai fornelli. Con Ella che canta, come nelle domeniche infinitamente belle, e con Louis che suona, come in quelle infinitamente brutte.

Ed è qua che entra in scena il cibo. Quello che ti riempie la pancia ma che ti scalda il cuore, inebriando il tuo olfatto e riempiendo di colore la tua vista. Serve qualcosa di morbido, filante, saporito ma un po’ dolce. Serve un sapore conosciuto, che mi ha accompagnato sempre nelle mie tante case in Italia, in quelle all’estero, in quelle sognate, in quelle anonime, in quelle piene di amore e in quella in cui non ho ancora vissuto.

Serve del comfort food… servono gli GNOCCHI! Con la mozzarella, il basilico e il pomodoro. Alla sorrentina, insomma. E serve metterli nel forno per inebriare tutta la mia casetta con il loro profumo. Quindi se anche voi avete bisogno di questa terapia, sebbene questa domenica milanese sia promettente (meteorologicamente parlando!) come non mai, provateci! La ricetta è semplice e il risultato è garantito per chiunque, davvero, anche per voi, analfabeti del mestolo!

Vi serviranno (per voi, anime solinghe come la mia):

500 g di gnocchi di patate

400 g di passata di pomodoro (meglio di datterini)

1 mozzarella fiordilatte

una manciata di grana grattugiato

una manciata di pangrattato

olio extravergine di oliva (magari aveste quello fresco che pizzica…)

1/2 cipolla

basilico fresco e origano secco

zucchero (!)

sale e pepe

Come fare

In un pentolino versa la passata di pomodoro, aggiungi l’olio (mezzo bicchiere), la cipolla tritata finemente, un pizzico di sale, uno di pepe, un cucchiaino di zucchero, il basilico fresco (a piacere) e l’origano. Metti sul fuoco e lascia cuocere per una mezz’oretta.

Nel frattempo prepara la mozzarella tagliandola a cubetti e metti a cuocere gli gnocchi: occhio alla loro cottura perché appena l’acqua bolle e lì butti dentro, ci vorrà giusto il tempo che salgano a galla per scolarli.

Adesso che hai scolato gli gnocchi condiscili con il sugo, la mozzarella e qualche foglia di basilico fresco. Metti in una teglia da forno, cospargi con grana e pangrattato e informa per 10/15 min. a 180 °C.

Servili caldi ma non ustionanti.

Vedrai, un piatto di questi e la domenica cambierà sapore.

La foto è di Alessandro Famiani, il fotografo più paziente del mondo!

Avocado toast per tutti


Non mi piacciono le mode.

Mi correggo: da piccola mi hanno insegnato a non seguirle mai. Come? Vietandomi lo zaino Invicta perché “ce l’hanno tutti e poi lo confondi con gli altri!”. E quindi al posto del Pro, mi sono dovuta accontentare di un meno conformista Seven, sostituito nel giro di pochi mesi con borse con molta più personalità!

Ma torniamo a noi, oggi. Dicevo .Non mi piacciono le mode, figuriamoci quelle del cibo.

Una volta erano le farfalle al salmone, poi il cocktail di gamberi, fino a qualche mese fa il sale rosa dell’Himalaya ma oggi, oggi è decisamente il momento dell’avocado!

Una volta considerato come il burro vegetale per eccellenza, calorico e poco gustoso, oggi non c’è occasione festosa in cui non troneggi una guacamole, un’insalata con i suoi cubetti o, appunto, un avocado toast. Sull’onda, poi, della dilagante moda hanno aperto persino degli Avocado Bar il cui ingrediente principale, indovinate un po’!, troneggia trasversalmente per tutto il menu… beh, forse un po’ troppo, no?

Io, però, di tutto quello che si dice e si è detto, ho fatto una scrematura e ho deciso, a mia convenienza, che l’avocado fa bene, è buono, lo posso mangiare, ma come tutte le cose, con moderazione e al momento giusto.

Uno dei momenti che ritengo più giusti per gustarmelo? La cena!

E allora ecco la ricetta dell’avocado toast che vi consolerà dalle fatiche del giorno e che vi condurrà a un dopocena sazio ma leggero.

Come farlo? semplicissimo.

Iniziate con il tostare le fette di pane che dovranno essere unte e leggermente salate, in modo che il pane diventi croccante, in forno, una decina di minuti, a 200 °C.

Intanto prendete l’avocado, dividetelo a metà, toglietegli il nocciolo e prelevate la sua polpa con un cucchiaio. Adesso potete schiacciare la polpa con una forchetta (l’intensità che applicherete può essere proporzionale al grado di stress accumulato nel corso della giornata :), aggiungete un pizzico di sale e un filo d’olio e lasciate lì.

Passiamo alle uova (uno a testa se la bruschetta è bella importante e mezzo avocado è la dose media. Se siete affamati lanciatevi per due, io non vi dirò certo nulla!). Fate bollire l’acqua in un pentolino dai bordi alti e non appena avrà raggiunto il bollore abbassate la fiamma, create il vortice con l’aiuto di un cucchiaio e tuffate delicatamente l’uovo (senza buccia!) accompagnando piano piano con il cucchiaio il vortice sulla superficie dell’acqua. Fate cuocere per un paio di minuti e scolate su un piatto.

Componete adesso il tutto: spalmate le fette di pane con l’avocado, adagiatevi sopra l’uovo in camicia e ultimate con dei fiocchi di sale nero. Sì, perché anche se siete sole/i, la presentazione vuole la sua parte!

Delizioso e perfetto anche per il brunch del week end!

Io (il Food) ed Anna


Nel lontano 2008 lavoravo casualmente a Milano (casualmente… non proprio casualmente, ma diciamo che speravo in un tempo limitato) e mi occupavo di traduzioni per un’azienda IT. Cosa che per una che viene da una formazione filologica -sì, laureata in filologia slava!- e che aveva passato gli anni post lauream tra gli Istituti di Cultura in Italia e in Polonia, era quasi un affronto.

Ma lavorare bisognava lavorare, quindi me lo sono fatta andare bene (e poi sempre traduzioni facevo. Ok, non erano le poesie dell’Achamtova, ma anche il settore delle consulenze IT può avere il suo fascino…mh-hhh!).

Quindi: Milano, 2008, consulenze IT. Un giorno, però, una mia cara amica, nonché ex collega dei bei tempi romani, mi dice che in una redazione food stanno cercando una redattrice. Mi catapulto a “casa” (sì, Roma sarebbe rimasta sempre casa), non c’era un minuto da perdere. Colloquio, peeemm, presa, telefonata al fidanzato e “io torno a vivere a Roma: inizio a lavorare per Alice Cucina“!

Non scenderò nel dettaglio di quegli anni assurdamente felici e pendolari, di amicizie incancellabili e di una passione per il lavoro sconfinata.

Vi dirò però che quel capo dell’azienda milanese presso cui lavoravo, alla notizia del mio licenziamento mi aveva detto “guarda, lascia perdere il food… meglio se ti fai mandare nella rivista d’arredamento”… ora, non so che fine abbia fatto questa persona, ma sebbene non fosse stato particolarmente lungimirante (ed è poco dire!) gli ho sempre augurato il meglio (non foss’altro per l’eleganza e la gentilezza nei modi che mi ha sempre riservato a lavoro. Il che, di questi -e quei- tempi, non è per nulla poco).

Poi però la vita a volte decide di riprendersi il timone che ti aveva lasciato in co-conduzione e fa lei: ecco allora il rientro a Milano, un nuovo lavoro in una start up con maggiori responsabilità e mille altri cambiamenti a catena.

Adesso non avevo più il timone ed ero in mare aperto. Apparentemente non avevo più neppure una bussola. Ma il mio Nord sì. Ed era la mia passione per il cibo.

Cucinare, sapevo cucinare. Scrivere, sapevo scrivere. Intrattenere ai fornelli… beh, pareva mi riuscisse proprio bene, e allora, tra mille collaborazioni (Tannico, Cortilia, Misiedo ecc.), tentativi di crescita e voglia di riprendermi questo maledetto timone, mi sono inventata il mio lavoro.

Il grosso della sfida inizia però tutto adesso: il salto, la navigata in solitaria, la rotta da mantenere ben salda.

Sono una donna, e per questo non ci sarà alcuna Circe a distrarmi. Ma non vi nego che un po’ di fifa c’è…

Però, come ogni viaggio che si rispetti, agogno l’arrivo ma mi godo la traversata!

Allora avanti tutta. Che di strada da fare ce n’è, ma è eccitante come poche cose.

 

 

Anna

Villa Tavernago da vivere e da bere


Tutte le giornate dovrebbero iniziare così: sole, compagnia cosmopolita,  chiacchiere fluenti e una direzione che porta il nome di Tenuta Villa Tavernago.

Ci troviamo a Pianello Val Tidone, in provincia di Piacenza, in quella porzione di Emilia Romagna per me ancora inesplorata, ma che spero nota ai più perché di una bellezza inaspettata: colline che non cercheresti, verde che non immagineresti e azzurro che non ricordi (grazie Milano!)…

In un paio di ore arriviamo così alle porte di una villa borromea splendida, oggi adibita a eventi e matrimoni, che con le sue stanze affrescate e ancora finemente arredate, riesce a rapirci e a coglierci sorpresi con tanta bellezza ottocentesca.

Riusciamo a fare giusto un rapido giro della villa e del parco circostanze godendo di un sole marzolino caldo e avvolgente che apre la fame e fa venir sete. Così, prima di passare al motivo del nostro viaggio (la degustazione dei vini Villa Tavernago), io (mezza polacca), Zoran (sommelier macedone) ed Estera (imprenditrice lituana del vino) -sembra una barzelletta ma non lo è!- scortati da Luca Papini, portavoce della Tenuta Tavernago, riusciamo anche a vedere quella parte della Tenuta adibita all’accoglienza, con poco più di una decina di stanze e suites ideali per chi desidera staccare dagli schiamazzi metropolitani (noi, purtroppo, non avremo tempo di poggiare neppure mezza guancia su quei sofficissimi cuscini!).

Dal momento in cui metteremo piede in cantina, il resto sarà solo un lieto, nebuloso e gustoso ricordo!

La degustazione dei vini, infatti, è iniziata nella villa adiacente le cantine, e il numero di bottiglie proposte è stato di 1o… quindi, per quanto si sia potuto “assaggiare”, la bontà era così tanta che dire di no al secondo sorso era praticamente impossibile, e, seppur supportati da lardo, coppa e prosciutto, alla fine della degustazione le gambe un po’ tremavano…

Come non citare il loro cavallo di battaglia, il Sauvignon Blanc Casa Giulia che nel 2016 ha vinto la medaglia d’oro al concorso mondiale di Bruxelles. Quello che però ha colpito la mia attenzione tra le new entries è stato il rosato (io che amo la Provenza, terra dei migliori rosati al mondo), il delizioso Querido Rosè, anch’esso biologico e senza solfiti aggiunti che immagino già accompagnerà le mie lunghe serate sul balconcino di casa tra musica e aperitivi estivi.

L’avere delle selezioni di vini biologici e senza solfiti aggiunti fa dei vini di Villa Tavernago un fiore all’occhiello di un territorio tutto da scoprire che sta offrendo delle prospettive enoiche davvero interessanti. La loro collocazione, poi, tra le colline verdi e arieggiate dell’alta Emilia, rende il tutto talmente piacevole che tornarci è il primo pensiero che ti viene in mente appena imbocchi la strada, ahimé, del ritorno.

Vorrei parlare di tutti i vini, indistintamente, ma preferisco consigliarvi un giro in un paradiso biologico come Tenuta Tavernago a un paio d’ore da Milano, accompagnati magari dal famoso amico astemio o dal valoroso che si immolerà all’astenia per la causa. Ne vale davvero la pena.

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